Funziona senza sosta, giorno e notte; e per fortuna possiamo aggiungere, o le conseguenze sarebbero catastrofiche: ma a quanto pare, solo quando arriva il momento degli spurghi Milano si accorge, o si rammenta, della propria imponente rete fognaria e di quanto sia rilevante per il suo benessere. Benché non sia di certo un argomento alla moda, o per certi versi neppure piacevole, per chi vuole conoscere la storia della città e il suo progresso è un punto importante: in fin dei conti, a far grande una città non sono soltanto palazzi e monumenti, ma anche il grado di salute dei suoi cittadini, e le fogne hanno un ruolo fondamentale nel garantirlo. Proviamo quindi a ripercorrere gli eventi salienti della storia del sistema fognario di Milano, identificandone tre periodi, ossia l’epoca Romana, il Medioevo e il Rinascimento, e l’Ottocento.
1) L’epoca Romana
La città (plausibilmente celtica in origine) di Mediolanum, con la sua conveniente posizione, dovette far molta gola ai Romani, che la conquistarono definitivamente nel 200 AC. Subito iniziarono le opere di bonifica e di ingegneria delle acque per cui erano famosi (c’è a riguardo un’eccellente ricostruzione idrografica dell’area di Milano ai tempi dell’Impero, del 1911, realizzata dall’Ing Felice Poggi). Di fatto, indubbiamente, a Mediolanum venne replicato il genere di rete fognaria che già da quattro secoli ornava Roma: piccoli condotti lungo le vie della città che andavano a riunirsi in un collettore di grandi dimensioni, che scaricava poi all’esterno (a Roma, la Cloaca Maxima, che si gettava nel Tevere). La rete di canali che portava le acque reflue fuori dalla città seguiva un tracciato che conosciamo con una certa esattezza, e che con buone probabilità andava a sboccare, alla fine, nel Lambro Meridionale, che in effetti ne trasse a lungo il soprannome, poco glorioso, di “Lambro Merdario”. Come in molti altri luoghi, alla caduta dell’Impero si accompagnò la decadenza di tali impianti, lasciati andare in rovina.
2) Il Medioevo e il Rinascimento
Fu solamente a cavallo fra il Medioevo e il Rinascimento che si manifestò con energia un nuovo fervore nella costruzione di canali fognari; sfortunatamente va però rilevato che a tanto fervore non corrispondeva altrettanta perizia. Le fognature venivano costruite in maniera per nulla organica, rispondendo alle esigenze di singole strade, senza alcuna direzione generale, per poi andare a versarsi nei canali un tempo scavati a difesa della città, come il Seveso. Va inoltre detto che tali fognature avevano lo scopo di concentrare la sola acqua naturale, come quella piovana: per le deiezioni e le acque nere vigeva la regola dell’accumulo nei pozzi neri, prossimi alle case, per poi effettuarne lo svuotamento ciclico e lo smaltimento in campagna. Le leggi disgraziatamente non svolgevano un buon lavoro di difesa della salute dei cittadini e dell’igiene, se pensiamo che vennero lasciate quasi identiche, malgrado l’evidente moltiplicarsi delle esigenze della città, dal 1300 al 1700. Le raccomandazioni si limitavano al divieto di svuotare e trasportare il contenuto dei pozzi neri nei mesi estivi; i Navazzari che conducevano la navi-botte che si occupavano di tale lavoro portavano poi i liquami all’esterno, nelle campagne, dove era recuperato per essere usato come concime.
3) l’Ottocento
Il 1807 vide ordinare, in due diversi decreti del Regio Governo Italico, una inevitabile riforma generale delle strade, e quindi dei tombini e delle fogne, della città di Milano. Disgraziatamente, a tali canali, che erano stati ideati per il puro drenaggio degli scoli stradali, si aggiunse il flusso delle acque nere delle case; e questo fece sì che venissero abbandonati, anche ove funzionanti, i vecchi canali, portando a un sovraccarico di quelli nuovi che erano ispezionabili soltanto rompendo il manto stradale, e avevano la pessima abitudine ad ostruirsi, causando allagamenti.
Nonostante questo fallito progresso della situazione, le cose non cambiarono ancora per molto tempo. Milano, di fatto, nei primi dell’ottocento non era ancora una città grandissima, e il grosso dei suoi flussi fognari riusciva, anche se a malapena e con difficoltà, ad incanalarsi nel Seveso e nel Naviglio, per poi finire nelle marcite originariamente costruite dai Benedettini a sud della città; per le zone fra il Naviglio interno e i Bastioni, essenzialmente fatte di orti e giardini, i flussi delle poche abitazioni erano incanalati nei canali irrigui. Quindi, pur essendo mal risolto, il problema non si presentava come urgente, e rimase inaffrontato in maniera sistematica per molto tempo.